Quando mancano le parole, a volte, ci si sente un po’ persi. Senza
appigli, senza punti di riferimento. Manca la punteggiatura e sembra che manchi
anche il fiato. O un’idea. O l’emozione che la può accompagnare.
Quando mancano le parole, è una Sottrazione.
Questo è l’effetto che possono
fare alcuni libri, quelli di sole illustrazioni, i Silent Books. Sfogliarli può essere destabilizzante, all’inizio,
perché i Silent Books sono storie illustrate, totalmente, o quasi prive di
testo. Storie silenziose.
Storie-che-si-pensa-non-raccontino-nulla.
Quando mancano le parole, arriva
il Silenzio. Assenza.
Ma.
In una società bombardata dal
Rumore e dalla assordante e tampinante presenza mediatica, il Silenzio è cosa
rara.
Il Silenzio obbliga a una pausa.
A respirare. A osservare. A creare un
luogo-tempo diverso. A prendere in mano un’Orafiore di Momo.
E allora le storie silenziose, i
Silent Books, diventano un rifugio, un
porto sicuro in cui rannicchiarsi e godere semplicemente della bellezza e della potenza espressiva delle immagini. Che
diventano le vere protagoniste, il pattern di storie delicate, buffe,
colorate o anche no, seriose o ironiche,
poetiche, rivelatrici. Opere grafiche artistiche. Anche.
Ed ecco il Paradosso: in un libro
senza parole, le parole vengono create. E il Silenzio diventa Presenza. Diventa Moltiplicazione. Di parole, di suoni e di storie. Ogni volta
diverse, perché influenzate dalle emozioni del momento, dal filtro di lettura,
dagli occhi dalla mente e dal sentire di ogni lettore.
E guai a chi sostiene che i
Silent Books sono libri relegati al mondo dell’Infanzia. Perché qualsiasi libro
capace di far entrare in gioco la fantasia, la creatività, la libertà di
espressione e di interpretazione, l’osservazione. Qualsiasi libro capace di
mettere così in gioco valori condivisi, simboli archetipici, assenza di limiti
linguistici e culturali, diventa un libro universale.
Capace di dare significato e di dare voce a Storie per un pubblico
lettore-attore senza età.
Di libri silenziosi, durante l’incontro di dicembre alla Libreria
Librambini di Vimodrone, ne sono stati sfogliati parecchi.
Questa volta il filo conduttore
non è stato un personaggio costante, protagonista indiscusso di libri
selezionati. Il fil rouge è stato piuttosto l’unicità e la forza dell’Immagine
proposta da Illustratori ed Illustratrici di tutto il mondo per mettere in
scena storie quotidiane e straordinarie.
E’ stato come indossare tante
paia di occhiali, uno per ogni autore. E’ stato come scoprire il mondo, anzi
tanti mondi, attraverso lenti uniche ed inimitabili.
Impossibile non iniziare la
sfilata con Iela Mari, la cui
scomparsa nel 2014 ha portato un vuoto per il mondo dell’editoria
internazionale, anche se le sue pubblicazioni si sono fermate agli anni Ottanta
(ma le case editrici hanno fortunatamente riproposto e continuano a riproporre
– quasi – tutte le sue opere).
I suoi libri, indirizzati
esplicitamente ai bambini dell’asilo nido e della scuola dell’infanzia, sono
vere e proprie opere grafiche, libri – ovviamente senza testo – che con forme
semplici e grandi campiture, sanno raccontare la complessità della natura e della sua ciclicità, il potere della
trasformazione e della creatività generatrice di cambiamento.
I libri di Iela Mari sono
riconoscibili fin dagli scaffali delle librerie e delle biblioteche perché sono
quasi tutti dello stesso formato: un
quadrato 21x21 con parola-titolo e disegno-personaggio.
Lo straordinario è che le sue
storie sono allo stesso tempo didattiche e poetiche. Didattiche perché, senza
l’aiuto delle parole, Iela Mari sa raccontare con grande esattezza di particolari
– quasi come in disegni di progettazione – e precisione scientifica, cicli
naturali essenziali (il ritmo delle
stagioni ne “L’Albero”, la
trasformazione da bruco a farfalla ne “La
mela e la farfalla”, la nascita di un pulcino ne “L’Uovo e la Gallina”); poetiche perché proprio da quella precisione
scientifica il racconto prende forma e sostanza, diventando poesia. Perché c’è
poesia nell’affettuosità dei particolari (la gallina che prepara il giaciglio,
il suo sguardo stupefatto dinanzi al miracolo della nascita; la formica che
osserva il bruco che spunta dalla mela; l’albero immobile mentre tutto intorno
a lui cambia e si fa suoni impalpabili e fragorosi, sottili e forti) e c’è
poesia nel sereno distacco – e rispetto - di cicli che vanno oltre la presenza
umana perché così è e sarà sempre.
In un certo senso, sono libri rassicuranti, quelli di Iela
Mari, anche grazie all’uso saggio delle forme, che i bambini conoscono e da cui
partono per creare realtà più complesse. E allora un tondo può diventare ed
essere tante cose diverse (“Il tondo”);
e allora un palloncino può diventare mela e poi farfalla e poi fiore e poi
ombrello e poi ancora da capo, in un giro-tondo senza fine (“Il Palloncino Rosso”); e allora da un
frutto di mare (guarda caso, tondo) si può arrivare a un anello col rubino,
agli uccelli trampolieri, a un girotondo di bambini, a un buco nella serratura,
a un vulcano in eruzione e tornare al motivo iniziale (“Il riccio di mare”).
Per chi conosce Iela Mari e ne
vuole sapere di più, soprattutto del personaggio che è stato, ma anche del suo
contesto storico, dell’evoluzione delle sue opere, della sua filosofia
grafico-artistica e molto di più – il libro “Iela Mari, il mondo attraverso una lente” di Babalibri è una
antologia rivelatrice.
Un altro artista che gioca con
l’uso sapiente della grafica per rappresentare una storia e che questa volta
abbandona le certezze rassicuranti caricando le pagine di suspence, è di
nazionalità francese: Antoine Guillopé.
“Le Loup noie” non è ancora edito in Italia ma poco male perché ancora
una volta sono le immagini a parlare.
La copertina, con quegli occhi da
belva e lo sfondo nero, è inquietante.
Quando si apre il libro compaiono lo scenario (un bosco) e i protagonisti (un
ragazzino e un lupo)… insomma, il tema e il bianco e nero che accompagneranno
tutte le pagine confermano la prima impressione; si voltano le pagine con
precauzione e con il fiato sospeso già in partenza.
Le illustrazioni sono molto
grafiche: Guillopé gioca con il bianco e nero, con il verticale (gli alberi e
la neve che cade) e l’orizzontale con cui rende gli spostamenti e i movimenti;
i rami degli alberi si stagliano in intricati giochi di pizzo, i tronchi degli
alberi definiscono gli spazi in modo irregolare. L’illustratore gioca molto con
il cambio dell’angolazione e del punto di vista dando quasi una impostazione cinematografica alla
storia. La narrazione si scandisce in un crescendo di paura e di senso di
ineluttabilità: un ragazzo passeggia nella neve; un lupo si muove nel
retroscena; stupore della neve che cade; minaccia che si rivela bruscamente;
il ragazzo avverte la presenza del lupo; il lupo attacca e…… colpo di scena! Tutto si ribalta: sia i colori (il bianco diventa nero e il nero
diventa bianco) che la nostra percezione del lupo e della foresta: il lupo si
trasforma da cattivo e pericoloso in salvatore;
la volta protettrice e rassicurante degli alberi diventa una minaccia.
Con una resa davvero efficace e
geniale, Antoine Guillopé sa trasmettere un messaggio semplice ma non banale: l’apparenza inganna; niente è in realtà ciò che sembra.
Facile, facilissimo, ripensare
allora a “Oltre L’albero” di Sadat Mandana che ribalta le apparenze.
Facile anche collegarsi alla
duologia di Béatrice Rodriguez edito
da Terre di Mezzo e alla sua capacità di raccontare di come il primo sguardo molte volte inganna .
Lo stile grafico è ora buffo e colorato, le pagine sono piene di particolari, i
personaggi – animali personificati che mantengono in partenza i loro tratti stereotipati – sono davvero
divertenti.
Ne “Il Ladro
di polli” un pugno di amici difende la gallina prelevata dalla volpe, in un
rocambolesco inseguimento che si conclude con la rivelazione che quel che lungo
le pagine sembrava essere un rapimento, era in realtà una
fuga d’amore. Il seguito riprende le
gesta della coppia ormai affermata volpe-gallina, giocando questa volta sul
ribaltamento dei ruoli… chi è donna e chi è uomo? Chi è mamma e chi è papà?
Finale a sorpresa...
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